Park Young Ghil, cintura nera 9° dan nonché uno dei più grandi maestri del Taekwondo viventi al mondo e presidente onorario FITA (Federazione Italiana Taekwondo), è l’uomo che ha portato questo sport ufficialmente in Italia nel lontano ’66. “Ho cominciato a Roma un anno dopo il mio arrivo, correva l’anno ’67, e poi l’anno successivo giunsi a Napoli: mentre in Europa soffiava il vento del ’68, io portavo in questa città la piccola grande rivoluzione del Taekwondo”, spiega, concedendo l’onore di un’intervista al Palacasoria, sede ufficiale delle qualificazioni e delle fasi finali di Taekwondo all’Universiade 2019.
“Dopo 53 anni sono fiero del titolo mondiale conquistato a Manchester recentemente dagli azzurri della FITA” ricorda orgoglioso. “L’Universiade però è un’altra cosa – ammette -, un settore più difficile in cui abbiamo visto il predominio coreano con 6 ori finora e degli iraniani, senza dimenticare la sorpresa egiziana in finale con l’argento”. Dopo tutto il Taekwondo è nato in Corea e gli “orientali sono da sempre più agili, elastici ma devo riconoscere che in questa edizione dei Giochi Universitari Internazionali la forma fisica è stata un fattore decisivo anche per le donne, quelle alte e magre, e mi ha colpito l’exploit americano nel free style”, aggiunge il Gran Maestro.
“Gli italiani però giocano in casa e il tifo, l’attaccamento al tricolore e all’azzurro si sente molto qui e sta a loro ‘svegliarsi’ e dare di più sul tatami”, afferma, strigliando gli atleti nazionali. E non risparmia una frecciatina all’impianto, “bello ma troppo caldo questo Palazzetto dello Sport”, chiosa prima di assistere alle premiazioni.